Due cuori in fiamme.

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    Distratta e interessata ad altro non aveva notato l'allontanamento di Mintaka e terminato il duello con Chris in fretta aveva recuperato i tacchi e l'aveva raggiunta sulla porta, ancora scalza, le scarpe appese all'indice ed al medio della mano destra, la bacchetta ancora nella sinistra. La vide poco più in là, uno strano cipiglio sul viso, e le si accostò in silenzio senza dire niente. Lei in primis aveva bisogno di tutto meno che di parlare.
    Si poggiò con la schiena alla parete dopo aver indossato i sandali ma tenendoli slacciati, e senza farsi troppi problemi riguardo ciò che la sua alunna avrebbe pensato, infilò una sigaretta fra le labbra e la accese con un accendino, inspirando a pieni polmoni e soffiando fuori ad occhi chiusi. Volse lentamente il capo in direzione di Mintaka e rimase immobile a guardarla qualche istante; qualche boccata di fumo dopo, si decise a prendere la parola.

    Cosa mi stavi dicendo riguardo la tua attuale dimora?

    Prima che iniziasse ufficialmente il duello le aveva accennato qualcosa, poi passato di mente abbastanza in fretta, ma in quel momento era interessata a saperne di più. Si rese conto, anche, di non sapere neanche cosa pensasse della sua nuova carica di Responsabile e scoprì, curiosamente, di tenere particolarmente al pensiero della studentessa. Si era notevolmente affezionata a Mintaka, per ragioni a lei estranee, ma anche altri piccoli maghi in fiore avevano attirato il suo sguardo, ma quella giovane scintilla aveva una marcia in più, un modo di fare ed una grinta che le ricordavano sempre di più sé stessa alla sua età, un'energia stratosferica.
    Le piaceva, e non era certa fosse una cosa totalmente positiva. Aveva fatto di tutto per non creare legami solidi, ma ci ricascava ogni volta, ed ogni volta si avvicinava a qualcuno: prima Alec, poi Chris, a quel punto Mintaka. Sarebbero stati la sua distruzione.

    L'anno prossimo ci vedremo più spesso, contenta?

    Sollevò un angolo delle labbra in un sorriso sarcastico e spense la sigaretta facendola sparire con un rapido colpo di bacchetta. Si fermò poi a guardarla quella bacchetta, quella che aveva strappato al dannato ladro, e per quanto fosse la sua nuova compagna e si capissero, sapeva che non sarebbe mai stata come la sua amata, quella che il Ministero le aveva sottratto. Johanna era tornata a casa con tutti i suoi effetti, a lei invece non avevano lasciato niente.

    Polisucco: 1 fiala intera, 1 per 2 post.


    Edited by Panky l'elfa - 27/9/2018, 23:46
     
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    Le mani cercarono il muro, e il corpo cercò decenza; la schiena si destò lasciando il collo piegato verso il basso, il respiro poco più pesante, le unghie aggrappate alla pietra.
    Non avrebbe voluto sentirsi così, persa perché debole, sola perché incapace di resistere all'istinto, inetta di fronte la pacatezza delle scelte.
    E il viso di sua nonna, il peso dei galeoni nella tasca, le domande alle quali non riusciva a rispondere si fondevano in un tumulto di lava incandescente, o forse era solo il calore che aveva provato ad aumentare la temperatura del suo corpo quasi a generare una febbre delirante e debilitante.
    Il fumo interruppe respiri profondi, affogò quasi, rendendosi conto di avere il capo troppo chino per vedere, troppo chino per sentire di aver recuperato dignità in mezzo a quella folla assente.
    Oltre la nube rada, il viso di Hela le bloccò il respiro, e deglutì un magone improvviso, nato da un crollo incontrastabile.
    D'un tratto si chiese perché si fosse concessa a lei, perché fosse lì, perché la guardava?
    Perché ricordava i brividi che aveva provato quando l'aveva avvolta dalle spalle? Quando il contatto così stretto e lieve, allo stesso tempo, avesse potuto destarle i sensi e lasciare uno spiraglio per appigliarsi?
    Perché l'aveva cercata in silenzio?
    Perché voleva fosse lì, esattamente in quell'istante?
    Senza rendersene conto, al muro si appese con tutto il braccio, il palmo disteso in alto, non lontano dal viso fermo a qualche centimetro da quella pietra che le pareva gelida.
    E gli occhi scuri si alzarono ancora poco vuoti.
    Era il sentirsi recuperare da un ciglio che le prosciugava le energie.
    Come Augustus tentava di spegnerle le vertigini, così Hela era parsa un ramo sporto su una roccia isolata, un ramo insolito, taciturno, che sembrava dirle di non lasciarsi andare.
    Era un ciclo, un ciclo di appigli, di tentativi, di presenze destinate a scappare.
    Non poteva farci nulla con quella necessità, né con la rabbia di prospettive vuote, né con la voglia di fidarsi, ogni volta.
    Ce l'aveva con se stessa per quello, perché decideva di crederci, poi tutto scompariva. E la sua scelta, in quei giorni, sembrava solo un'amara consolazione contro le dinamiche del mondo, quelle nelle quali tutto era fuori dalla sua portata e dal suo volere.
    E ora si chiedeva, mentre la guardava, se ne valesse la pena.
    Se anche quella volta ne valesse la pena.

    Andrai via anche tu?

    La voce rotta tradì la debolezza, e non aveva forze di contrastare quella vulnerabilità, tanto che la testa tentennò, ma lo sguardo fissò senza pretendere, quasi disilluso.
    Aveva dimenticato la prima domanda di proposito, perché c'era solo una cosa a cui pensava, una tra tante che voleva.
    Non poteva concedere di nuovo di entrare, farsi muro al quale appigliarsi, e andare via.
    Non poteva decidere cosa gli altri facessero o decidessero di fare, ma poteva avere potere su quel che lei concedeva.
    Continuò a guardarla pretendendo però il suo sguardo, pretendendo di essere guardata negli occhi, senza vergogna di quello stato poco fiero e sconfitto in cui si trovava.
    Le dita si piegarono sul muro, e la gola pulsò visibilmente quando riuscì a ingoiare.

     
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    Mintaka era strana, con qualcosa di sinistro ed indeciso nello sguardo, una luce quasi timorosa o forse rassegnata. Capirla non era facile, neanche per Alex che riteneva di conoscerla e che era abbastanza abile nel capire ciò che gli altri pensavano, se mentivano, se urlavano dietro il silenzio delle labbra.
    La domanda arrivò inattesa ed inaspettata, un quesito singolare che poteva essere una risposta alla domanda che lei stessa aveva posto e che, interpretata, avrebbe dovuto significare "no, non sono contenta perché ho cambiato Responsabile ancora una volta", oppure era una domanda a sè, senza fini o conclusioni, magari che non richiedeva neanche una risposta ricca o argomentata, ma una sola e debole sillaba.
    Un sospiro le lasciò il petto mentre taciturna stringeva le labbra e studiava quello sguardo scuro come la pece. Era una domanda pesante quella che Mintaka le aveva fatto, e ancor di più lo sarebbe stata la risposta.
    Spostò lo sguardo in avanti, verso la parete, e come un presagio parvero formarsi i volti di Esther, Fiamma, Amalia, Laeddis perfino, e distolse immediatamente gli occhi da quei visi concentrandosi su Mintaka che ancora aspettava.

    Non ti posso promettere di essere la tua Responsabile per sempre, ma ti prometto di esserci fin quando ne avrò le possibilità.

    E che se Mintaka avesse saputo, avrebbe capito il reale significato: "finché non mi prendono", o "finché non muoio" o addirittura "finché la mia identità non verrà svelata".

    Finché sono qui, farò del mio meglio.

    Poteva prometterle solo quello e nulla più, ed in verità era anche troppo. Il ruolo di insegnante la stava vestendo in maniera fin troppo aderente e doveva solo sperare che rimanesse tale e non andasse via via strigendosi perché altrimenti avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa, e decidere cosa era anche troppo facile.

    Sono necessaria, ma non insostibuile, e tu neanche, come nessun altro.

    Nessuno era essenziale nel mondo, solo i dogmi lo erano, gli obiettivi, le passioni, i sogni, i desideri, ma le persone no, le persone non lo erano affatto e lei meno degli altri.
     
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    Mintaka aveva poggiato una tempia al muro, così la spalla e il fianco, ritrovandosi a guardare Hela con il mento poco più alto, gli occhi poco più chiusi, e le labbra che formicolavano quasi, ricambiando lo sguardo taciturno con il suo, senza chinare le iridi.
    A scostarle fu l'altra, impalandoli alla parete, e Taka continuava a fissarla senza parlare, ingoiando un magone amaro, serrando però le labbra.
    Forse Hela aveva creduto che preferisse la bugia alla verità, che parlarle in quel modo avrebbe reso le parole uno schiaffo gelido, che Mintaka credesse ancora nelle favole, o forse l'aveva ritenuta degna della realtà.
    Molti adulti credevano che ai ragazzi bisognasse indorare la pillola, come a doverli preservare; e magari era realmente così per alcuni, perché non tutti erano pronti.
    Lei aveva visto troppe persone andare via, lei stessa era andata via, aveva scelto la sua strada e basta, senza seguire una corrente o la casualità; aveva scelto perché doveva essere così, perché adagiarsi su quel che il mondo decideva per ogni anima aveva un ché di vigliacco, rendeva vittima delle circostanze.
    Così nessuna promessa poteva essere mantenuta realmente, nessuna visione assolutista di se stessi possedeva l'ombra di verità.
    L'essere umano si muoveva, ma il potere derivava da una cosa sola: lo scegliere, il saper scegliere, l'imporre al caso la propria scelta, anche come reazione delle cose.

    Hela non le promise nulla, né le mentì.
    E una parte di lei era consapevole del fatto che preferisse di gran lunga sapere che chi aveva di fronte non avesse alcun potere di eternità.
    Forse non era la risposta che si aspettava, forse una parte di lei avrebbe desiderato una piccola bugia, tanto per sentirsi bambina.
    Ma quella era la risposta che le serviva, quella che meritava.
    Lo stomaco divenne lava, digerì l'autentico inconsciamente, il petto si alleggerì benché la stanchezza e l'intorpidimento della lotta con Baker ancora la stesse provando.
    Accolse quel che aveva detto con una consapevolezza strana, ma reale; come fosse grata senza riuscire a dirlo.
    Nessuno le aveva realemnte promesso di non andare via, eppure tutti avevano avuto l'essenza dell'indissolubile per lei.
    Niente le era mai sembrato effimero o fuggente, così quando si erano dissolti niente l'aveva aiutata a capire.
    E poi aveva ripagato il mondo della stessa moneta: rimanendo indispensabile solo a se stessa, cercando però negli altri uno scambio di energia, pur fugace, ma potente.
    Qualcosa che potesse in un solo attimo valere in eterno, perché vivo in lei.

    Premette il palmo sul muro per discostarvisi, e mise la schiena dritta, senza risponderle, guardandola di nuovo per essere guardata.
    Credette quel momento potesse durare ore, perché sentiva tutto il peso del silenzio, della verità, e tendeva verso Hela, senza raggiungerla.
    Capì cosa l'avesse spinta verso lei, a cercarla, a desiderare un contatto di qualsiasi tipo, come se fosse dentro lei la voglia che scalpitava, e il corpo l'involucro che ubbidiva.
    Desiderava sentirla, prendersi quel che era possibile, tutto ciò che poteva da lei; esattamente come faceva con chiunque scegliesse.

    Solo per un anno ancora.

    Le parole quasi morirono nella gola graffiata, provata dal magone e dal silenzio.

    Dovrai essere la mia Responsabile solo un anno ancora.

    E poi avrebbe voluto che le distanze potessero appiattirsi, affievolirsi nella complicità, nella conoscenza laterale a quella limitata dai ruoli, certa che l'avrebbe cercato di fare già, magari senza dirlo, né dichiararlo.
    Solo perché sentiva che avrebbe dovuto rubarle qualcosa, qualcosa che la stava chiamando ancora, di cui non sapeva il nome, ma del quale sentiva il grido.

    Poi può darsi che io ti segua per un po', finché non mi avrai dato tutto ciò che voglio.

    Si avvicinò quel tanto per pretendere il suo sguardo di nuovo, mentre la pece scivolava tra labbra, iridi e collo, quasi a scappare da una visione di inseme capace di destabilizzarla, perché troppo chiara.
    Il cuore aveva ripreso a battere più veloce e più forte, e la lava nello stomaco si era diluita nel sangue.
     
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    Un'increspatura delle labbra, una linea curva, un brillio negli occhi. Un movimento sottile, leggero e poco interessante, come una foglia che cade in autunno, una goccia d'acqua durante la pioggia, un respiro fra i tanti. Un sorriso così spontaneo che Alex neanche se ne accorse, neanche lo capì quanto in profondità fosse arrivata, e neanche lo trattenne o nascose, né se ne preoccupò. Autentico, reale, pura soddisfazione. Quello era e Mintaka ne era la creatrice, come avesse preso della roccia dura e l'avesse fusa rimodellandola, dandole la possibilità di cambiare forma, ed era cambiata nel tempo di un istante, nella luce di uno sguardo, nello spacco di un sorriso.
    Aveva sorriso, senza obbligarsi, senza pensarci, senza fermarsi.
    Aveva sorriso e dopotutto andava bene così, se a Mintaka andava bene così.

    Per un anno posso farcela.

    Non aveva progetti o programmi a lungo termine, non aveva idee, non aveva fatto piani se non le proposte per gli studenti, se non come occupare il loro tempo ed il suo. Nove mesi erano un tempo lecito, non troppo lungo, sufficiente, accettabile. Poteva farcela a non sparire, a non sbagliare, a non lasciarsi trovare. Poteva farcela, per un anno.
    Calò le mani nelle tasche dell'abito e lì rimase, ferma, con gli occhi che studiavano la ragazza e ne saggiavano la potenza e l'irruenza, il nero plumbeo delle iridi e la fiamma dietro di essi, quel fuoco incandescente che la caratterizzava. Quella potenza che le aveva riconosciuto subito e che l'aveva resa interessante ai suoi occhi, curiosa, interessante. Una su un milione.

    Qualcosa mutò, così nello sguardo come nei piedi che quasi non ci stavano più nei tacchi, nel piccolo formicolio del cambiamento e della regressione, nella pozione che svaniva e che l'avrebbe lasciata vera davanti a Mintaka nell'aspetto, ché nell'animo vera lo era già, con lei, se rapida non vi avesse posto rimedio.
    La fiaschetta toccò le labbra ed il liquido rosato calò giù lungo la gola e riempì la bocca di quel sapore ormai familiare. Si diceva che più una persona fosse giusta e leale, più la Pozione Polisucco aveva un buon sapore, più sarebbe stato piacevole prendere le sue sembianze. Camilla era la miglior Polisucco che avesse provato in quasi trent'anni, e forse non solo per il suo essere gentile e altruista, ma anche per le occasioni e le seconde possibilità che le aveva concesso, per le nuove conoscenze, per le nuove rivalità, per i rispolverati sorrisi, per persone come Mintaka. Una su un milione.

    Ti aspetterò, anche dopo, quando non sarò più Responsabile e tu non sarai più una ragazzina.

    Le era entrata dentro, così dentro che aveva perforato le barriere e le ossa, così dentro che se la sentiva sotto la pelle, scorrere nel sangue, alitarle nell'anima. Così in profondità che per lei, l'una su un milione, avrebbe trovato l'alternativa, la soluzione, l'opzione, la decisione, la verità. Poteva esserlo, Mintaka, il suo custode segreto, il suo piccolo lucchetto, la sua ancora nel mondo. Poteva esserlo perchè lei lo era stata a suo tempo e sapeva riconoscersi. Mintaka era solo una versione migliore, un successo, un lenzuolo ancora pulito che non avrebbe permesso sarebbe stato sporcato.
    La voleva con sè, ma con le mani candide e lo spirito selvaggio col quale l'aveva scoperta.
    Non una goccia di sangue su di lei.

    Sii la parte che preferisci di te.

    Perchè io non ce l'ho fatta.
     
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    Gli occhi erano quasi appannati dalla stanchezza, tanto che si persero un po' inebetiti quando la bocca toccò la fiala, ancora ubriachi di quel sorriso sbocciato sulle labbra rosse di Hela: un fiore che non le era mai parso di vedere, raro come il tempo che le era stato concesso.
    Mintaka aveva schiuso la bocca di rimando, sorpresa all'improvviso, sentì poi le labbra riallacciarsi morbide, le iridi cadere sul muro che le faceva da appoggio e il cuore battere senza che riuscisse a imporgli di rallentare.
    Non aveva idea del perché si sentisse così, come se la lava fosse scesa fino al ventre, risalita poi tra gola e lingua e le guance rimanevano gelide, il collo incendiava di brividi.

    Una ragazzina...

    La fronte si increspò poco, solo per un battito di ciglia impercettibile, e la schiena si tese, senza più essere capace di distaccare lo sguardo, piena di una promessa che aveva tutta l'aria di poter essere mantenuta, di qualcosa che non aveva niente di eterno e irrazionale, ma che le rese la mente ovattata, come se una sensazione forte, oltre quelle parole, l'avesse appena agganciata al futuro dalle costole e dalla pelle, tirandola con uno strattone.
    Hela ci sarebbe stata, l'avrebbe aspettata, e Mintaka avrebbe avuto qualcuno da seguire, qualcuno che non fosse un ruolo da ascoltare.

    Non sapeva ancora cosa potesse significare essere la parte preferita di se stessi.
    Una volta credeva valesse essere la parte migliore di se stessi, come se buttar giù tutto ciò che si avesse di sbagliato potesse aiutare a dimenticarlo.
    Ma ingoiare una parte di sé significava renderla acido nell'intestino, veleno ribollito, mostro deforme in evoluzione.
    Forse quel che intendeva era che bisognava essere ciò che si desiderava essere in un determinato momento, in un preciso istante.
    Così abbassò gli occhi sulle sue dita e le sentì vuote.
    Irrigidì le spalle e le percepì spoglie.
    Quella sensazione nello stomaco e nel ventre non andava via, quella voglia di avvicinarsi si scioglieva ovunque.
    Quando rialzò lo sguardo Hela era troppo lontana, la gola era chiusa, le dita tremavano.
    E degna figlia del Fuoco non fece niente per frenarsi.
    Allungò la mano sulle dita chiare, si aggrappò con delicatezza, lentamente, come a tirarsi verso di lei.
    Il corpo debole si tese quel tanto che servisse ad avvicinarsi con il viso al suo, gli occhi incollati alle labbra, il cuore che perdeva battiti.
    Finché un sospiro gelido le impietrì il collo, proprio quando sentì le labbra schiudersi ancora, desiderose di un contatto, ma la ragione le strappò via un brivido, il timore bussò violento scavalcando il coraggio e l'irriverenza con i quali avrebbe già preso quel che voleva, già interpretato la forma preferita di sé, in quel preciso istante.
    Sgranò gli occhi a un palmo da Hela, lasciò il respiro bloccato sciogliersi in un tuffo.
    E il fuoco divenne lava solida tutto d'un tratto e il nero si perse negli occhi chiari tremante.
    Solo le dita si strinsero più forti, solo quelle gridarono aiuto, infilandosi nel palmo e indurendo la presa.

    A volte non si può essere la parte preferita di se stessi.

    Disse con un filo di voce, senza distogliere gli occhi, né muoversi più.
     
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    Sciolse i capelli. Ridiscero lungo le spalle in onde disordinate. Parvero vestirla di nuovi abiti, parvero spogliarla della fredda severità che si trascinava dietro, parvero cambiarla e d'improvviso non era più Hela, ma solo Alex. Osservò immobile il disincanto di Mintaka, quella piccola vibrazione nei suoi occhi, il sottile cambiamento delle sfumature scure degli occhi, come si fossero definite e rese vivide, come se in un attimo avesse colto e perso qualcosa insieme. Fu tanto breve e fugace quanto intenso e brillante. Lo vide, il corpo dell'altra glielo dettò, i suoi movimenti lo cantavano, e seppe che la giovane strega davanti a lei aveva capito. Cosa esattamente avesse elaborato non aveva importanza, non quando pareva esserci una sì forte realizzazione. Per quel che poteva pensare Alex, in quel momento, Mintaka poteva anche aver frainteso ogni cosa, e non avrebbe comunque avuto alcun valore o spessore, ché era più prezioso possedere una nuova realtà personale che aver appreso le dottrine di qualcun altro.
    Fu anche per quello che rimase immobile.
    Mintaka si muoveva, lentamente, spinta da una spavalderia indomita, e Alex se ne nutrì come un nomade nel deserto, bevve di quella forza ritrovata come fosse sua e percepiva la tensione crescere mano a mano che lo spazio si stringeva e l'aria fra loro diminuiva. Sentì le dita fremere, il cuore accelerare, eppur non si mosse perchè non era lei a dover decidere, non era lei a doversi muovere, non era la sua battaglia. Lo aveva visto quel conflitto interiore, ma non le sarebbe stato possibile comprenderlo o percepirlo o lontanamente spiegarlo, tanto meno interromperlo. Era la sua guerra, la sua sfida personale, e Mintaka doveva uscirne da sola, vincente, nuova, ritrovata, e forse quel gesto lo era: il colpo finale.

    Fallo.

    L'allieva era impietrita, esterrefatta, come se non sapesse o capisse, come se si trovasse lì per ragioni che non si spiegava e conosceva, come se lei fosse in realtà due, una razionale ed una puro istinto, e non fosse in grado di conciliarle e riappacificarle.
    Prese un debole respiro tenendo gli occhi in quelli di Mintaka sfidando l'elettricità fra di loro, sfidando la distanza che aspettava d'esser vinta con la forza e l'irruenza.
    Alex non si muoveva, eppure le sembrava di star vorticando nel turbine delle emozioni che le scorrevano sotto la pelle e che non le appartenevano, le emozioni che erano dell'altra e non sue, le emozioni che in quel momento però sentiva di star rivivendo e riscoprendo, che sentiva bruciarle nel sangue e urlare.
    Le gambe si chiusero di riflesso, finanche a placare le familiari sensazioni dell'attesa della conquista, come fosse quasi un tiro alla fune e non mancasse che un ultimo pezzo di corda per acchiappare l'identità reale. Quell'eccitazione rovente, quel cuore in fiamme.

    Socchiuse la bocca, cercando con lo sguardo quella di Mintaka e trovandola, come se avesse sempre saputo dove fosse.
    Respirò, piano, strinse le labbra, e volgendosi ancora agli occhi atterriti della studentessa, domandò.

    Perchè ti imponi dei limiti? Cosa temi?

    E fu quasi sulle labbra dell'altra che mormorò quelle parole, sottilmente e ferocemente, ché la distanza fra loro era così breve che anche solo il respiro sarebbe stato sufficiente ad esprimersi.
     
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    Era trascorso troppo tempo dall'ultima volta che gli spilli roventi erano esplosi sotto la pelle, facendosi poi cascata nella carne, raggelandola e incendiandola, quasi sanguinasse.
    Il soffio sulle labbra le aveva divorato i battiti del cuore, e ora faticava a respirare, con gli occhi fissi in quelli di Hela, vinti da un torpore improvviso, un desiderio viscerale che si faceva pulsante, come quel respiro sottile avesse appena svegliato la brace.
    Le iridi caddero sulle labbra quando parlò di nuovo, il viso stava fermo, appena alzato, e questa volta si sentì trascinare oltre il bilico, con le dita affondate nella pelle del palmo dell'altra, la gola tesa, la schiena irrigidita dalla nuca al fondo, dove i brividi si facevano spasmi, indurendo i muscoli e i fianchi, vittime ancora di freni che rischavano di cedere alla voglia da un momento all'altro.
    Le parole sulla sua bocca furono il colpo di grazia di una resa a se stessa, i ganci alle scapole bruciavano, le labbra si schiusero a rapire il respiro lento.
    E credette per un istante di poterle morire lì, sul fiato.
    Una parte di lei sapeva cosa stava facendo; la sfida al coraggio era l'unica battaglia che Hela stava cercando, l'aveva provocata per capire dove fosse la sua linea estrema.
    Mintaka si chiese se non fosse quello il vero significato di audacia; non una guerra, dove era possibile ledere l'orgoglio, e ancora prima la pelle.
    Il coraggio lo si mostrava quando ciò che poteva essere leso era il cuore.
    Quando si dimostrava di non avere niente da perdere.
    E quelle vibrazioni continuavano a insinuarsi nella pelle sottile della bocca, le labbra di Hela l'attraevano come fossero fatte di sangue rovente del quale era assetata, la distanza che le separava era il sinonimo del conflitto che avrebbe dovuto vincere.
    Nessun limite.
    Non se ne sarebbe imposto alcuno, non quando il ciglio la stava richiamando a lanciarsi senza timore, non quando il Fuoco gridava così forte nella sua coscienza da dimenticare ogni sfumatura.
    Perché come un incendio avrebbe divorato tutto ciò che desiderava.
    Perché da quell'istante avrebbe preso ciò che voleva.

    Niente.

    La voce aveva tremato, soffiando, vibrante di sfida.
    Pretese il suo sguardo un'ultima volta e le palpebre si assottigliarono un attimo prima che il corpo si abbandonasse a quel che voleva, esattamente ciò che voleva in quel preciso istante.
    Solcò il distacco con frustrante lentezza, prima di chinare il collo, aprire le labbra su quelle di Hela a sfiorarle, inspirando e rubandole il respiro.
    Sentiva la voglia di divorare, ma la bocca si chiuse quel tanto per farsi accarezzare dalla sua, muovendosi appena, morbida, chiudendosi di nuovo solo sul labbro inferiore.
    Forse le vene stavano esplodendo, la mano tirò piano per avvicinarsi e la bocca si inumidì poco, mentre la gola si chiudeva, l'arteria sul collo pompava fuoriosa e quel tocco scottava tanto, senza che riuscisse a ritrarsi subito.
    Non ebbe il tempo di capire l'avventatezza di quel gesto, l'irriverenza di quella pretesa, né si chiese cosa ne sarebbe stato, nel futuro, di un gesto tanto assurdo.
    Aveva vinto l'istinto, aveva vinto sui limiti e li aveva oltrepassati.
    E se questo le era stato chiesto e lei lo aveva accolto, allora non c'era niente che potesse essere sbagliato.
     
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    Cos'è un bacio se non il sigillo di una promessa? La promessa di una notte di divertimento, la promessa di una vita insieme, la promessa dell'amore; loro, lì, unite sotto le stelle e fra le luci della via, si promettevano di andare sempre oltre, di non imporsi ostacoli o limiti, di vincere, sempre.
    Schiuse le labbra e accolse la carezza della più giovane, che pur muovendosi con cautela la avvolgeva in un turbine di fuoco, in un'esplosione di energia e di desiderio.
    Era un contatto effimero, pregno di lussuria e potenza. Era labbra che si sfioravano e scontravano, erano pelli che si sfioravano, mani che si tiravano, capelli che si incastravano, occhi chiusi a spiare dietro le palpebre le emozioni sconvolgersi ed avvolgersi, là, dove il ventre tremava languido.
    Aprì maggiormente la bocca e serpentina e furba, crudele quasi, invitò Mintaka a spingersi ancora oltre, ad esagerare, a sfidarsi e a sfidarla insieme. Era ceduta a sè stessa, ma quanto era disposta a mettersi in gioco, quanto ad alzare l'asticella della pericolosità? Perchè era pericoloso quello che stavano facendo, e non perchè fossero nel mezzo di una via affollata, sotto gli occhi di adulti e studenti che ancora abbandonavano e si aggiravano intorno alla libreria, non perchè fossero due donne, ma perchè erano due cuori in fiamme pronti alla combustione. Erano pronte ad esplodere, ché quel bacio era alimentato dalla forza, dall'audacia, dal desiderio, dal piacere. Iniziava a sentirsi coinvolta e preda, in parte smarrita, poichè l'entusiasmo di quegli istanti era sempre lo stesso, sempre uguale, sempre totale.
    Sollevò una mano a cercarle una guancia, stringendosela più vicina e facendola più sua, accorciando ancora le distanze già nulle, finchè il fiato non mancò troppo ed il petto gemette obbligandola alla resa e all'abbandono.
    Ansimò libera, le labbra più gonfie, il petto più agitato, gli occhi che si socchiudevano e cercavano l'allieva dalle iridi cupe. Credeva di poter sentire i propri brillare d'euforia.
    Rimase in silenzio, senza spostarsi neanche di un soffio d'aria, e solo secondi e secondi dopo, quando il cuore ebbe riacquistato la calma ed il petto si fu rilassato, parlò.

    Lezione uno, appresa. Non ci sono limiti se non quelli che ti imponi.

    Le parlò sulle labbra un'ultima volta, con le pelli che si sfioravano ancora, con i sapori che si mischiavano.
    Le parlò sulle labbra, eppur sembrava la stesse ancora baciando.
    Prese le distanze facendo un passo indietro, pur rimanendo con gli occhi fermi e immobili nello stesso punto, alla ricerca dei suoi.
    C'era ancora la frenesia nell'aria, quell'energia che le aveva tenute unite fino a morir senza fiato, fino a sentire i polmoni bruciare e le labbra implorare pietà. Si fece indietro, solo perchè forse avrebbe voluto farsi ancora più vicina.

    Ci vediamo per la prossima lezione, Al Hayes.

    Sfoderò il sorriso più carico di sorprese del suo repertorio e con non chalance, quasi come non fosse accaduto nulla, si preparò a congedarsi e a riprendere la sua strada, com'era fino a dieci minuti prima, com'era prima del bacio, prima di quello scontro di cuori in fiamme.
     
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    Qualcosa tentava di dirle che non poteva essere possibile, le suggeriva che avrebbe dovuto tirarsi indietro subito, che le vertigini che provava erano il segnale che il ciglio si trovasse davvero troppo in alto.
    E invece seppe d'un tratto che in quelle labbra avrebbe voluto inciampare mille volte e il timore era relegato nello stomaco, tremava con l'agitazione, si amalgamava alla frenesia.
    Si fece più vicina, e di nuovo il respiro si spense in un gemito soffocato, le labbra si aprirono con quelle di Hela, il petto incendiò e la schiena incurvata si spinse contro di lei, attratta, abbandonata. Il desiderio che aveva sussurrato timido si fece chiaro nella carne, scioglendosi più caldo.
    La mano che aveva rapito le dita dell'altra fece fatica a muoversi, ma una parte di lei avrebbe voluto slegarle, scostarla verso di lei, avvicinarsi ancora.
    Desiderò senza vergognarsene di essere toccata, desiderò di averne di più, con una consapevolezza folle che aveva preso le redini di tutto, del corpo e della mente.
    La presa sul viso e la bocca schiusa la spinsero a credere che anche Hela volesse di più, e non poté fare a meno di incendiarle il sangue nel ventre, il cuore sobbalzò fino a farle inarcare la schiena, ancora, a spalancare gli occhi un attimo e poi socchiuderli mentre il respiro si fece quasi affaticato, l'eccitazione le bloccava il petto all'improvviso e l'incredulità rischiava di farla cedere. Stava tentando di farla più sua e Mintaka fece un passo accennato verso lei, chiudendo la bocca sul labbro, tirandolo appena dopo aver lambito con la lingua, ritratta in fretta quando sentì la voglia vicerale di mordere poco, arrendendosi docile a quel provocare chiaro che la rese agnello e lupo.
    Durò troppo poco, ormai stava cadendo.
    Ma il sussurro sulle labbra fu il colpo di grazia; forse neanche percepì le parole, guardava persa il viso di Hela, quasi dondolando, le labbra ancora schiuse e gonfie a desiderare le sue, la mente ubriaca.
    Quando si allontanò si sentì spoglia, e ancora faticava a respirare, tanto che decise di non farlo, o forse fu il corpo a deciderlo per lei.
    Le mani erano ferme a mezz'aria, il viso stupito, svuotato nel vederla andare via e il cuore provava ad andare più piano, facendo ritorno dalla gola e dallo stomaco nei quali si era tuffato prepotente.

    Si era persa volutamente e brutalmente.
    Era ferma senza accorgersi che il mondo intorno continuasse a muoversi.
    Non seppe andare via di lì abbastanza in fretta, non seppe quanto tempo era rimasta.
    Ormai la brace aveva il potenziale del fuoco infinito, era tornato più potente, era tornato per divorare.
    E niente, niente, avrebbe potuto spegnerlo o fermarlo.


    Ruolata chiusa

     
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